Cosa ne pensi della reintroduzione dell'orso bruno in Trentino?

sabato 18 dicembre 2010

Uomo ed orso: un rapporto controverso

L’orso è indubbiamente l’animale che riesce a suscitare nell’uomo le emozioni più disparate, che vanno da un’atavica fobia in cui predomina la considerazione di esso quale “grande predatore”, ad una simpatia incondizionata in cui invece l’orso viene visto più che altro come un “goffo animale”,  da proteggere dalle insidie della modernità.
Nel corso dei secoli tali emozioni hanno innescato nell’uomo degli atteggiamenti pregiudiziali nei confronti della specie: per la sua forza e le sue dimensioni alcune culture lo consideravano una divinità e lo veneravano; in altre culture invece, più portate all’imperialismo, tali caratteristiche facevano prevalere un’immagine di esso come animale dannoso alle attività umane e pericoloso per l’uomo stesso, che andava quindi cacciato con ogni mezzo.
Fino a circa un secolo fa nella nostra cultura era diffusa una forte avversione per questo grande animale, dimostrata dalla numerosa quantità di leggende, racconti, favole e molte altre espressioni della tradizione popolare che lo ritraevano come un temibile nemico, oppure dalla sua raffigurazione su molti stemmi reali o di casate nobili, che aveva lo scopo di suscitare un certo timore nella controparte (non a caso l’animale figura spesso in piedi, come a simulare un attacco).
Tale rappresentazione dell’animale, che si avvicinava a quella di un “mostro delle foreste”, alimentò verso la metà del XIX secolo una terribile campagna di sterminio che mise a rischio la sopravvivenza della specie in molte zone della catena alpina dove prima essa prosperava quasi indisturbata (la caccia era praticata ma non in modo sistematico).
In tempi più recenti questa prevalenza della rappresentazione negativa dell’orso, animale nocivo, da temere e per questo anche da combattere, è stata rimpiazzata da una rappresentazione di esso come “animale buono”, simbolo della natura incontaminata, e quindi da proteggere: basti pensare agli ormai classici orsacchiotti di peluche, inseparabili amici inanimati di molti bambini, o ai fumetti e ai cartoni animati attraverso i quali viene trasmessa alle giovani generazioni un’immagine dell’orso come un simpatico abitatore delle foreste, coltivando la simpatia verso di esso, all’interno di una più ampia strategia comunicativa che insegna il rispetto verso tutte le altre forme viventi.
Rimanendo sempre nell’ambito della nostra cultura, non mancano tuttavia anche ai nostri giorni le rappresentazioni che attribuiscono all’animale caratteristiche mostruose, riprendendo le credenze dell’immaginario popolare di un tempo secondo cui l’orso era un animale estremamente aggressivo verso chiunque gli capitasse di incontrare o solamente di avvertire attraverso il suo olfatto ed il suo udito molto sviluppati.
E’ il caso per esempio di alcune opere cinematografiche di grande impatto emotivo, che, giocando sull’impressionabilità dello spettatore dilatano oltremisura questa presunta aggressività indiscriminata dell’orso ed il naturale timore del pubblico per un predatore di queste dimensioni.
Questa capacità dell’orso di stimolare la fantasia umana non deriva solamente dalle sue grandi dimensioni e dalla sua impressionante forza, ma anche dalla sua natura solitaria e sfuggente, che non ha mai permesso – fino all’avvento delle moderne strumentazioni tecnologiche come la macchina fotografica, il cannocchiale per la visione notturna, o, più recentemente, i radiocollari per controllarne gli spostamenti – di focalizzare con certezza le sue caratteristiche comportamentali e biologiche allo stato selvatico, stimolando così la speculazione e la creazione di stereotipi che propongono spesso un’immagine dell’animale come estremamente pericoloso per chi, aggirandosi nel bosco, abbia la disgrazia  di imbattersi in esso.
Un ulteriore stimolo a tali fantasticherie deriva anche da alcune caratteristiche vagamente antropomorfe dell’orso, come l’espressività del muso o il suo sollevarsi sulle zampe posteriori (comportamento dovuto alla necessità di controllare meglio la situazione).
Paradossalmente però, se da una parte il rapido evolversi della tecnologia a disposizione dell’uomo ed il parallelo progredire della conoscenza scientifica contribuirono a sfatare buona parte di queste credenze, come appunto quella di un’immotivata aggressività dell’Orso bruno verso ogni altro animale, compreso l’uomo, d’altra parte fu proprio l’avvento di strumenti tecnologici molto sofisticati, accompagnato dalla rapida espansione delle attività umane, a provocarne l’estinzione in varie zone in cui la sua presenza era incontrastata.

Thomas Daldoss, I tentativi di reintroduzione dell'orso bruno in Trentino - Attori, motivazioni, difficoltà, opposizioni, Tesi di laurea in Sociologia, Università di Trento, relatore Prof. Lauro Struffi, a.a. 2005-06

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